Interview mit Davide Cenadelli

So wie bereits vor einem Jahr fand auch während den diesjährigen Weihnachtsferien das ESO Astronomie-Camp in Saint Barthelemy im Aostatal statt. 53 Jugendliche aus aller Welt in den italienischen Alpen, und alle wollten sie mehr über die Geheimnisse, welche das Universum verbirgt, wissen. Dieses Jahr waren "Exoplaneten" das Hauptthema und, da es das Wetter glücklicherweise erlaubte, wurden fast täglich Beobachtungen im nahegelegenen Observatorium durchgeführt. Dort traf man dann die beiden Astronomen Andrea Bernagozzi und Davide Cenadelli an, mit welchen man dann sowohl mit dem Teleskop als auch mit dem bloßen Auge den Nachthimmel erforschte.

Im Laufe des Camps hielten diese beiden auch einige Vorlesungen, bei welchen sich vor- und nachher immer die Möglichkeit ergab, ungeklärte Fragen zu stellen; ob es nun Fragen über während den Vorlesungen angesprochene Thematiken waren oder auch über ganz andere Mysterien des Universums, keine blieb unbeantwortet! Viele wollten auch mehr über die beiden Astronomen selbst wissen und wie man denn nun zum Astronom wird. Davide Cenadelli hat sich deshalb die Zeit genommen, um diese und auch andere Fragen zu seiner Person für die Schülerzeitung des Sprachen- und Realgymnasiums "Argus" zu beantworten:



Davide Cenadelli studierte Physik an der Universität von Mailand, wo er sich auch zum Doktor in der Geschichte der Sternastrophysik promovierte. Seit 2011 ist er im Observatorium in Saint Barthelemy tätig, wo er sich mit der wissenschaftlichen Forschung im Gebiert der Sternastrophysik und der extrasolaren Planeten beschäftigt. Er ist der Autor des Buches „I colori delle stelle“ und engagiert sich seit mehreren Jahren für die Verbreitung der Wissenschaftskultur in Schulen und der Öffentlichkeit.



Bild 1: Der Astronom Davide Cenadelli. Foto: Vera Oberhauser



Com’è nata la Sua passione per l‘astronomia?

È nata quando avevo la vostra età; avevo 17 anni e l‘astronomia mi è sempre piaciuta, ma una sera ho deciso di cominciare ad imparare e conoscere le costellazioni. Mi ricordo benissimo, era fine gennaio 1986, che per voi è preistoria —  la civiltà esisteva già tra l‘altro, vi garantisco — e avevo preso la cartina e ho detto „Okay, Orione: un trapezio, tre stelle in mezzo, verso il Sud;“ Sono uscito, Orione — subito; e questo mi ha catturato. Volevo sempre conoscere le stelle e vedere subito come comincio a orientarmi in cielo con una certa facilità è stato proprio il colpo di grazia.

C‘è ancora una singola cosa che mi ha colpito particolarmente e che ha rinforzato molto il mio desiderio di diventare un astronomo: Era il fatto di aver scoperto quando ho cominciato da ragazzino a interessarmi d‘astronomia che siamo fatti in materia stellare quasi interamente. Questa cosa qui ti dà una sensazione di connessione, d’incredibile. L‘idea che materia espulsa delle stelle si riaggrega, diventa cosciente e noi, che siamo materia stellare, guardiamo le stelle mi manda proprio fuori di testa. Cioè in noi l‘universo diventa cosciente di se, perché noi siamo dei pezzetti dell‘universo e insomma, ci stiamo dentro. Secondo me è bellissima questa cosa e ti dà molto l’idea dell’eternità della vita umana. Ti dà un‘idea del quanto sia irriducibile la vita umana. Ecco questo è una cosa che l‘astronomia mi ha insegnato ed è una delle cose più belle che ho imparato nella mia vita.

Qual è la Sua cosa preferita di essere un astronomo?

La mia cosa preferita sono proprio le stelle, cioè dal punto di vista scientifico: la struttura stellare, quindi le strutture di evoluzione. Io in particolare ho lavorato sulla spettroscopia, quindi guardare gli spettri per capire come sono fatte le stelle. Poi, a parte del lavoro, mi piace tantissimo guardare il cielo a occhio nudo e le costellazioni, la storia delle costellazioni, nomi delle stelle; e sono veramente eccezionalmente affascinanti secondo me. Quindi, in campo non strettamente scientifico, c'è anche questo aspetto storico, un po’ mitologico, un po’ poetico che mi piace tantissimo.

Che cosa sono secondo Lei sono le qualità più importanti che un astronomo bisogna avere?

A parte delle cose ovvie, tipo amare un po’ la matematica, secondo me è la creatività. Nelle scienze è sempre così; essere creativi, pensare in maniera a volte un po’ inusuale/laterale, „thinking outside the box“ dicono gli Inglesi, è fondamentale. La creatività e la curiosità direi sono le cose più importanti non solo per essere un astronomo, anche uno scienziato in qualsiasi campo.

Cosa succede durante un giorno tipico all‘osservatorio?

La maggior parte del lavoro è lavoro comunque di giorno, perché i telescopi lavorano di notte, però lavorano da soli fondamentalmente. C‘è bisogno che uno stia lì per controllare che non si rompa niente, però prevalentemente i dati li riprendono da soli. Quindi la giornata è di analisi dei dati, cioè si prendono le immagini, si fa la curva di luce, si guarda se c‘è qualcosa d’interessante— nel mio caso più sulle stelle che sui pianeti — per capire che tipo di stelle stiamo guardando.
E poi c‘è, che è anche una parte grossa del nostro lavoro, che è di didattica. Cioè con scuole — io vado nelle scuole anche... Quindi è metà e metà circa.

Quali sono i progetti principali all‘osservatorio?

C‘è la ricerca degli esopianeti intorno a nane rosse; noi abbiamo studiato circa mille nane rosse e cerchiamo di capire, analizzando i dati, se hanno dei pianeti. Poi c‘è lo studio dei blazar per cui siamo in un consorzio mondiale e poi asteroidi — sono i tre campi di ricerca. Metà del tempo viene dedicato a questo, e metà circa alla didattica e all‘educazione.

Può descrivere se stesso in tre parole?

Mi piacciono le cose semplici, tranquille. Mi piace stare a casa e fare una cosa tranquilla con persone con cui stai bene. Mi piacciono tutte le cose che sono colorate: le stelle, le nebulose, i paesaggi, la fotografia, la pittura — tutte le cose colorate.
Allora, la prima parola è „semplice“, la seconda „colorato“ e la terza „affettuoso“.

Qual è Suo oggetto celestiale preferito?

C‘è ne sono tanti; se proprio dobbiamo dirne uno: mu Cephei, la stella più grande visibile all’occhio nudo in tutto il cielo, distante tra cinque e sei mila anni di luce — le misure sono un po’ imprecise. Pensare che noi vediamo un oggetto, che la cui luce, alla velocità della luce, ha viaggiato dal 4000 a.C. per arrivare qua stasera e per farci vedere una stella 1500 volte più grande del sole, che si trova a questa distanza, a questa dimensione — è un supergigante rosso — è veramente super affascinante.

Supponendo che abbia scoperto un oggetto celeste, che cosa sarebbe e che nome gli darebbe?

Questo non lo so. Diciamo mi piacerebbe scoprire, se dovessi scegliere un oggetto da scoprire, un sistema multiplo delle stelle di diversi colori con pianeti. Perché su quei pianeti, se ci fossero viventi vedrebbero due o tre soli in cielo di colori diversi e questo sarebbe bellissimo. Come nome non lo so, non li darei il nome del mio cane o una cosa del genere. Però i nomi delle stelle sono secondo me i nomi più belli di tutto e quindi non potrei fare mai meglio io degli Arabi che li hanno dati mille anni fa.


Das Interview führte Vera Oberhauser während des ESO Camps 2018 in Aosta.

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